L’epidemia coronavirus non ferma i programmi e le scadenze in ambito europeo. Inizia oggi, a Bruxelles, il negoziato sulle future relazioni commerciali tra l’Unione europea e il Regno Unito.
“Le trattative partono in salita – ha messo in evidenza il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti -. L’obiettivo finale è condiviso. Siglare un accordo di libero scambio senza dazi, contingenti e ostacoli amministrativi, ma le posizioni sono contrastanti per quanto riguarda le condizioni e i tempi”.
Il governo di Londra non intende accettare, in cambio dell’accesso al mercato unico, il riferimento alla normativa europea e il giudizio della Corte di giustizia della Ue. Nel mandato negoziale affidato dal Consiglio UE alla Commissione c’è anche il riconoscimento della normativa europea in materia di indicazioni geografiche protette.
“Inoltre – ha aggiunto Giansanti – il Regno Unito ha fatto sapere che abbandonerà le trattative, se non sarà stato raggiunto un accordo quadro entro giugno. E’ una scadenza troppo ravvicinata per raggiungere un accordo. Il governo britannico ha preso ufficialmente a riferimento l’intesa tra Ue e Canada che, però, ha richiesto sette anni di trattative”
“Senza un accordo – ha proseguito il presidente di Confagricoltura – ci troveremmo alla fine dell’anno nella situazione peggiore finora evitata: il ritorno delle frontiere tra UE e Regno Unito e il ripristino di dazi e controlli sulle merci. Il contraccolpo sul sistema agroalimentare italiano ed europeo sarebbe pesante”.
Confagricoltura ricorda che il Regno Unito è importatore netto di prodotti agroalimentari. Gli acquisti dagli Stati membri della UE ammontano a circa 40 miliardi di euro l’anno. Per i prodotti orticoli, ad esempio, la produzione britannica copre appena il 50% del fabbisogno. Per la frutta si scende a meno del 5 per cento.
L’export italiano di settore si attesta a 3,4 miliardi di euro, di cui il 30% assicurato da prodotti a indicazione geografica protetta.
Il Regno Unito è il quarto mercato di sbocco per le produzioni agroalimentari italiane, dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Vino e mosti e prodotti ortofrutticoli incidono per il 45% sul totale delle esportazioni destinate al mercato britannico.
“Il rischio di una hard Brexit differita all’inizio del 2021 è alto. Per scongiurare questa prospettiva, lavoreremo anche in stretto contatto con l’associazione degli agricoltori del Regno Unito (NFU) – ha concluso Giansanti -. La NFU punta come noi sul raggiungimento di un accordo di libero scambio, mantenendo gli alti standard di produzione dell’Unione. C’è il timore che il governo di Londra, in sostituzione dei prodotti in arrivo dagli Stati membri, apra la strada alle importazioni da paesi extra UE dove vigono sistemi produttivi meno rigorosi in termini di tutela dei consumatori, del lavoro e protezione delle risorse naturali”.
Commenta