I dati diffusi dall’Istat confermano la tendenza di lungo periodo a una trasformazione degli ordinamenti produttivi dell’agricoltura del nostro Paese. Tra il 2010 ed il 2019, infatti, la SAU (superficie agricola utilizzata) è aumentata dello 0,9%, ma con un’evoluzione molto diversa per le superfici destinate ai vari comparti produttivi, diminuendo per i seminativi (-3,7%) e aumentando del 6,9% per foraggere (prati permanenti e pascoli) e del 5,7% per le colture legnose.
In particolare – mette in luce Confagricoltura – in questi anni si è coltivato il 15% in meno di cereali e sono stati impiantati il 7% in più di fruttiferi. E’ l’Istat stesso ad indicare i principali fattori all’origine di questi cambiamenti: l’innovazione tecnologica che induce la riorganizzazione dei processi produttivi; l’evoluzione del mercato in termini di variazioni nella domanda e maggiore concorrenza, in particolare sui prezzi, dei principali competitor; il cambiamento climatico che può indurre un orientamento delle produzioni verso colture meno dipendenti dall’andamento climatico.
Di particolare interesse l’impatto sulla filiera cerealicola, che dal 2010 al 2019 ha perso complessivamente quasi 600mila ettari, passando da 3,6 a 3 milioni di ettari in poco meno di 20 anni. Ormai – evidenzia Confagricoltura – i cereali rappresentano meno della metà delle coltivazioni a seminativi.
A pesare su questo calo sembra in particolare la forte flessione delle superfici investite a mais, che si sono ridotte tra il 2010 e il 2020 del 35%, perdendo oltre 300mila ettari (da 927mila a 603mila ettari).
Di converso si registra una tenuta delle coltivazioni di grano duro, che le previsioni di semina indicano in aumento per il 2021 di ben il 5,6%; investimenti probabilmente trainati da una maggiore domanda, in particolare nel Settentrione.
Le superfici a mais dovrebbero registrare una certa stabilità (+0,4%), anche se nel Nord Est, l’areale di maggiore produzione, che rappresenta da solo oltre il 40% delle superfici dedicate in Italia, la previsione di aumento è più rappresentativa (+3,1%).
Due indicatori, quindi, di una probabile positiva inversione di tendenza che potrebbe interessare le principali coltivazioni cerealicole nazionali.
“Uno scenario complessivo in deciso movimento quello dei dati Istat – commenta Nicola Gherardi, componente della Giunta esecutiva confederale – Occorrono politiche adeguate per accompagnare queste trasformazioni: se il mercato può essere sufficiente a trainare gli investimenti di alcune produzioni, occorre d’altro canto agevolare le trasformazioni anche con conoscenze e innovazione, mentre è essenziale evitare di perdere terreno su coltivazioni strategiche, come nel caso dei cereali. Il forte calo di potenziale produttivo del mais nazionale, ad esempio, va contrastato”.
“Bene ha fatto l’Istat – conclude Gherardi – a ricordare il varo del Piano di settore, che prevede alcune misure che pure Confagricoltura aveva auspicato; ma evidentemente occorre un’azione politica continua e più decisa per tutte le produzioni per le quali è a rischio il nostro autoapprovvigionamento”.
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